La regola del debito e il disavanzo strutturale tra falsi miti e realtà

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di Franco Mostacci

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Secondo un’opinione diffusa, per adempiere al Fiscal Compact, l’Italia dovrà ridurre nel 2015 di oltre 50 miliardi il livello del proprio debito pubblico, con costi insostenibili per la società[1].

Fortunatamente, le cose al momento non stanno esattamente in questi termini.

La regola sulla riduzione del debito, secondo la quale ogni Paese si impegna a ridurre il proprio debito pubblico eccedente il 60% del Pil a un ritmo medio di un ventesimo all’anno, è stata introdotta con il Regolamento europeo 1177 del 2011[2], uno degli elementi che costituiscono il cosiddetto six pack (formato da 5 regolamenti e 1 direttiva).

Essa fa il paio con la regola sul deficit - uno dei requisiti economici e finanziari previsti dal Trattato di Maastricht per accedere all’Euro e poi ripreso dal Patto di Stabilità e Crescita del 1997 – secondo la quale l’indebitamento netto della pubblica amministrazione non deve superare il 3% del Pil[3].

All’inizio del 2012, il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, meglio noto come Fiscal Compact[4], ha introdotto un ulteriore vincolo ai saldi di finanza pubblica, imponendo un limite dello 0,5% del rapporto tra l’indebitamento strutturale, cioè al netto del ciclo economico e delle misure una tantum e il Pil. L’Italia, a differenza della maggior parte dei Paesi dell’Unione monetaria europea, ha addirittura modificato la Costituzione, prevedendo nell’articolo 81 “l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Con la legge “rinforzata” 243 del 24 dicembre 2012, che ha reso operative le modifiche costituzionali, è stato poi precisato che l’equilibrio di bilancio corrisponde all’obiettivo di medio termine previsto dal Fiscal Compact.

Ma vediamo come funzionano i tre vincoli e cosa comporta nel dettaglio il loro rispetto.

Il vincolo sull’indebitamento netto

L’indebitamento netto è la differenza tra le entrate e le uscite consolidate della pubblica amministrazione, calcolate secondo il criterio di competenza economica, definita dal sistema europeo dei conti nazionali. Tra le uscite sono conteggiate anche le spese per gli interessi passivi (il servizio del debito)[5].

Se il rapporto tra l’indebitamento netto e il Pil supera il 3%, la Commissione Europea propone l’apertura di una procedura per deficit eccessivi[6], che comporta l’assunzione di impegni ben precisi su un percorso di rientro.

L’Italia è già incappata per due volte nella procedura per disavanzi eccessivi, nel 2005 (chiusa senza sanzioni nel 2008) e nel 2009. L’ultima procedura si è conclusa con il  2012, anno in cui il rapporto deficit/Pil è stato ricondotto al 3%, lo stesso valore conseguito anche nel 2013 secondo le più recenti stime fornite dall’Istat[7].

Il vincolo sull’indebitamento strutturale

Dopo l’uscita dalla procedura per deficit eccessivi, l’Italia è impegnata a rimanere in linea con gli obiettivi di medio termine (MTO)[8], compiendo per un triennio progressi sufficienti di risanamento dei conti pubblici.

Gli obiettivi di medio termine sono definiti in termini strutturali: la posizione di bilancio della pubblica amministrazione è considerata al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum adottate per fronteggiare situazioni non prevedibili.

La differenza tra l’indebitamento netto, che non deve superare il 3% del Pil per rispettare il Patto di stabilità e crescita e l’indebitamento strutturale, che non deve superare lo 0,5% del Pil per adempiere al Fiscal Compact e al dettato costituzionale, è sostanziale.

Per ragionare in termini strutturali si deve considerare il Pil potenziale, che è definito come il livello dell’output che un’economia può produrre senza generare pressioni inflazionistiche.

Nella pratica il Pil potenziale Ytpot , espresso in termini reali è calcolato come una funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas che tiene conto del fattore lavoro, del fattore capitale e della produttività totale dei fattori.

Nei periodi di crisi economica il Pil Yt, anch’esso considerato in termini reali, è inferiore al Pil potenziale, che rappresenta la sola componente di trend.

La variazione tra il Pil e il Pil potenziale è il cosiddetto output gap:

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che, se negativo,  misura di quanto il Pil si è ridotto a causa del ciclo economico sfavorevole. Secondo le più recenti stime della Commissione europea, in Italia l’output gap è risultato di -3% nel 2012, di -4,3% nel 2013 ed è in diminuzione nei prossimi anni per effetto della auspicata ripresa economica.

Il saldo di bilancio corretto per il ciclo economico si ottiene sottraendo dall’indebitamento netto l’output gap moltiplicato per un coefficiente che misura l’elasticità delle entrate fiscali e delle spese pubbliche alla congiuntura economica [9]:

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Il saldo strutturale di bilancio si ottiene sottraendo al saldo di bilancio corretto per il ciclo economico l’effetto delle misure una tantum in rapporto al Pil:

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L’obiettivo di medio termine fa riferimento a quest’ultima grandezza e prevede una riduzione del saldo di bilancio strutturale di almeno 0,5 punti percentuali l’anno, salvo motivate eccezioni. Nel 2012 era -1,4%  e si è ridotto a -0,8% nel 2013. Per gli anni a venire la Commissione europea ritiene che scenda a -0,6% nel 2014, per poi risalire a -0,8% nel 2015.

Il disavanzo strutturale deve essere ulteriormente migliorato rispetto alle previsioni, agendo su una delle componenti, in primo luogo sull’indebitamento netto bt.

Il vincolo del debito

Nel 2013 il debito pubblico è arrivato a 2.069 miliardi di euro ed è aumentato in un anno di 80 miliardi di euro, di cui 47 di indebitamento e 33 di flussi finanziari[10]. Per verificare la regola sul debito si fa riferimento al rapporto debito pubblico/Pil, che ha toccato quota 132,6%.

Durante il periodo triennale di transizione, che segue l’uscita dalla procedura per disavanzi eccessivi, il criterio del debito si ritiene soddisfatto se è in corso un processo adeguato di avvicinamento alla soglia.

La prima verifica secondo le nuove regole previste dal Regolamento 1177/2011 sarà effettuata sullo stock di debito pubblico al 31 dicembre 2015.

La riduzione del debito pubblico in eccedenza si intende rispettata se si verifica almeno una delle tre condizioni[11]:

a)      il differenziale rispetto al 60% è diminuito negli ultimi tre anni ad un ritmo medio di un ventesimo all’anno (backward looking). Il benchmark da rispettare è:

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dove ddt è il valore di soglia e dt è il rapporto debito/pil al tempo t. Per calcolare il valore limite del 2015 si considera il rapporto debito/Pil del 2012, 2013 e 2014;

b)      le proiezioni di bilancio della Commissione indicano che la riduzione necessaria del differenziale si produrrà nel triennio che comprende i due anni successivi (forward looking). Tale condizione è stata introdotta per venire incontro ai Paesi che hanno impostato un processo di correzione del debito che ancora non è giunto a maturazione. In questo caso il benchmark diventa:

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Il confronto è riferito al 2017 e per calcolare il valore limite si utilizza il rapporto debito/Pil del 2014, 2015 e 2016[12].

c)      nell’applicazione del parametro di riferimento si deve tenere conto dell’influenza del ciclo sul ritmo di diminuzione del debito. Il ciclo economico ha effetto sia sul livello del debito pubblico che sul Pil. In particolare, durante una crisi economica il debito pubblico è maggiore a causa delle minori entrate e delle maggiori uscite e al tempo stesso il Pil è inferiore al suo valore potenziale. Il rapporto debito/Pil “aggiustato” per gli effetti del ciclo economico è:

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dove Dt è lo stock di debito nell’anno t; Ct è la componente ciclica del saldo di bilancio; Yt-3 è il Pil nominale nell’anno t-3; ypot è la variazione del Pil potenziale e pt è la variazione del deflatore.

In pratica, l’Italia nel 2015 avrà assolto i suoi obblighi se il debito pubblico si sarà adeguatamente ridotto nel periodo 2012-2014 (condizione a) oppure se si ridurrà nei due anni successivi tenendo conto delle previsioni (condizione b) oppure se si sarà ridotto nel periodo 2012-2014 considerando sia il debito pubblico che il Pil corretti per il ciclo economico (condizione c).

E’ sufficiente, quindi, che si verifichi una sola delle tre condizioni.

Per capire cosa potrebbe accadere, prendiamo a riferimento i dati di consuntivo dell’Istat e della Banca d’Italia per il 2012-2013, le previsioni della Commissione Europea per il 2014-2015; il livello di debito pubblico della Nota di aggiornamento al Def per il 2016-2017 e stime prudenziali su crescita e inflazione.

Scenario macroeconomico e di finanza pubblica 2012-2017  – (miliardi di euro e valori %)
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Fonte: Istat (Pil nominale, var. deflatore, Pil reale e indebitamento netto 2012-2013); Banca d’Italia (Debito pubblico 2012-2013); Commissione europea (stime 2014-2015 e dati strutturali); Ministero Economia (Indebitamento netto e Debito pubblico 2016-2017)

Il debito pubblico dovrebbe passare dai 2.069 miliardi di euro del 2013 ai 2.155 miliardi di euro del 2015 (+86 miliardi di euro), in cui toccherebbe il suo picco massimo per poi iniziare a scendere leggermente a un ritmo di circa 9 miliardi di euro l’anno[13]. Se le previsioni della Commissione europea per il 2014-2015 e le stime di crescita e inflazione per il 2016-2017 saranno confermate, la regola del debito potrebbe essere rispettata. E vediamo perché.

Il benchmark del rapporto debito/Pil per il 2015 backward looking risulterà uguale a 124,3%, irraggiungibile per il livello atteso che è invece di 132,4%. Anche il valore del rapporto debito/Pil corretto per il ciclo economico, che scenderebbe a 127,6%, è troppo lontano dall’obiettivo.

Se però si considera il rapporto debito/Pil in un’ottica forward looking si ottiene un limite di 124,6% e il valore atteso per il 2017 si colloca, sebbene di poco, al di sotto di esso.

Questo possibile risultato va, comunque, preso con cautela.

E’ da tenere presente che negli ultimi anni  le stime di crescita dell’economia formulate dalla Commissione europea, ma ancor più quelle fornite dal Governo italiano, si sono in genere rivelate ottimistiche. Se la ripresa economica dovesse ancora ritardare o manifestarsi con effetti più limitati rispetto alle previsioni, le cose si complicherebbero non poco.

I limiti per la realizzazione dell’obiettivo sono molto ristretti ed è sufficiente che, a parità di inflazione, il ritmo di crescita del 2016-2017 sia inferiore all’1,2 % annuo oppure che lo stock di debito pubblico sia superiore  (ad esempio per il pagamento di tutti i debiti della PA verso le imprese) per far saltare il rispetto del vincolo[14].

Gli aiuti internazionali

L’Italia ha contribuito per la quota di competenza a finanziare i fondi salva Stati. A fine 2013 l’esposizione italiana era di 55,6 miliardi (34,1 miliardi di euro per l’Efsf[15], 11,5 miliardi per l’Esm[16]e 10 miliardi di prestito bilaterale alla Grecia), che gravano sul debito pubblico.

Il rapporto debito/Pil al netto dei sostegni nel 2013 è pari al 129% (il debito lordo, come abbiamo visto, è 132,6%). Se si considera la serie al netto dei sostegni anche i valori di benchmark si riducono e la situazione sostanzialmente non cambia. Anche in questo caso l’Italia avrebbe la possibilità di rispettare nel 2015 il vincolo sulla riduzione del debito pubblico solo considerando l’opzione forward looking  (con un margine leggermente più ampio rispetto al calcolo effettuato con il debito lordo).

Nella valutazione dell’impatto degli aiuti internazionali sul debito, non ci si può, però, limitare a un semplice calcolo numerico. La sottrazione di risorse pubbliche per far fronte agli impegni di sostegno alle economie dei Paesi dell’euro in difficoltà, ha sicuramente anche limitato la crescita dell’economia italiana.

Nel regolamento 1177/2011 è previsto che “la Commissione tiene in debita ed esplicita considerazione tutti gli altri fattori che, secondo lo Stato membro interessato, sono significativi per valutare complessivamente l’osservanza dei criteri relativi al disavanzo e al debito e che tale Stato membro ha sottoposto al Consiglio e alla Commissione. In tale contesto, è attribuita particolare attenzione ai contributi finanziari a sostegno della solidarietà internazionale e della realizzazione degli obiettivi delle politiche dell’Unione, al debito sostenuto sotto forma di sostegno bilaterale e multilaterale tra gli Stati membri nell’ambito della salvaguardia della stabilità finanziaria, e al debito relativo alle operazioni di stabilizzazione finanziaria durante gravi turbolenze finanziarie”.

Nel caso in cui il vincolo sulla riduzione del debito non risultasse rispettato per qualche decimale, la sottoscrizione dei fondi salva Stati costituirà una valida ragione da tenere in considerazione.

La revisione del Pil

A settembre 2014 l’Istat provvederà a una revisione straordinaria del Pil, anche per tenere conto delle definizioni previste dal nuovo sistema dei conti nazionali europei (SEC 2010).

Secondo le stime preliminari e provvisorie della Commissione europea le nuove classificazioni dovrebbero portare a un aumento del livello del Pil italiano compreso tra l’1% e il 2%.

Tale revisione avrà un impatto solo marginale sui vincoli per l’indebitamento netto[17], l’indebitamento strutturale e il debito pubblico.

Considerazioni conclusive

Il combinato disposto del Patto di Stabilità e Crescita – così come modificato dal regolamento 1177/2011 – e del Fiscal compact, ripreso nella legislazione nazionale con una norma di rango costituzionale, impone il rispetto di precisi limiti relativi a tre parametri: l’indebitamento netto, l’indebitamento strutturale e il debito pubblico.

Sulla base delle ultime previsioni della Commissione europea, il limite inferiore dello 0,5% strutturale rispetto al Pil, sarebbe violato nel 2015 a meno che non si effettui una correzione dell’indebitamento netto di 3 punti decimali di Pil (circa 5 miliardi di euro)[18].

I timori per un intervento di riduzione del debito pubblico dell’ordine di 50 miliardi di euro appaiono al momento infondati. In uno scenario di inflazione moderata e di crescita dell’economia dello 0,6% nel 2014 e di 1,2% costante dal 2015 al 2017, anche in presenza di un aumento contenuto dello stock di debito pubblico fino al 2015 (88 miliardi di euro),  il vincolo della riduzione del rapporto debito/Pil per il 2015 sarà rispettato secondo l’opzione  forward looking, se nel biennio 2016-2017 lo stock di debito inizierà a flettere lievemente.

Tuttavia, secondo il quadro tracciato dalla Commissione europea, l’Italia si trova oggi in una situazione di grave squilibrio macroeconomico a causa di un debito pubblico troppo elevato rispetto al Pil e una bassa competitività dovuta alla scarsa produttività. Tutto questo in un contesto di inefficienze nella pubblica amministrazione e nel sistema giudiziario, una debole governance, alti livelli di corruzione e di evasione fiscale, ritardi nello sviluppo del capitale umano.

La preoccupazione principale continua ad essere l’onere eccessivo del servizio del debito (circa 80 miliardi di euro l’anno calcolati secondo gli attuali tassi di interesse) che obbliga l’Italia a mantenere un avanzo primario al di sopra del livello storico, impedendo misure di politica fiscale per favorire la ripresa.

Sussiste, pertanto, il timore che le stime previsionali della Commissione europea e quelle governative di imminente diffusione con il Programma di Stabilità e il Piano Nazionale di Riforme (Def 2014) siano troppo ottimistiche e, alla prova dei fatti, costringeranno l’Italia a ulteriori sacrifici – al momento non quantificabili – per il raggiungimento dei vincoli di bilancio.


[1] Secondo un semplice ma non esatto calcolo,  l’Italia, che ha raggiunto nel 2013 il tetto del 132,6% di debito sul Pil, deve abbatterlo annualmente di circa 3,5 punti percentuali, che corrispondono più o meno a 55 miliardi di euro.

[2] Tale regolamento modifica il Patto di Stabilità e Crescita, stabilendo il ritmo con il quale il debito pubblico in eccesso deve convergere alla soglia del 60% del Pil (articolo 2 del Regolamento 1467/1997).

[3] Sulla fissazione della soglia del disavanzo esiste una ricca aneddotica.

[4] Sotto il profilo giuridico il Fiscal Compact è un trattato internazionale al momento non incorporato nell’ordinamento dell’Unione Europea.

[5] Come noto la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi passivi dà luogo, invece, al saldo primario.

[6] La procedura di infrazione è una decisione assunta dal Consiglio su proposta della Commissione che redige un rapporto ai sensi dell’articolo 126(3) del TFUE.

[7] Per essere precisi, l’Italia ha continuato a sforare di 349 milioni di euro nel 2012 e di 520 milioni di euro nel 2013 il limite del 3% del Pil, ma si è soprasseduto per via degli arrotondamenti matematici.

[8] La vigente definizione di MTO è contenuta nel Regolamento 1175/2011 (Six Pack), lo stesso che introduce il Semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche.

[9] Un ciclo economico sfavorevole può causare la riduzione delle entrate relative all’Irpef, alla tassazione sulle imprese, alla tassazione indiretta (Iva), ai contributi sociali e l’aumento delle spese per i sussidi di disoccupazione. Per l’Italia l’elasticità delle entrate è 0,09 e quella delle uscite -1,04. L’elasticità complessiva è una media delle due elasticità pesata con la quota rispettiva di entrate e uscite rispetto al Pil. Nel 2012 e 2013 il valore di ε è stato di 0,57.

[10] Tecnicamente sono definiti raccordo disavanzo/debito.

[11] La metodologia è tratta da “Vademecum on the Stability and Growth Pact”, European Commission, Occasional Papers 151 – maggio 2013

[12] Al momento in cui sarà effettuata la verifica si l rapporto debito/Pil per il 2016 e il 2017 è previsionale.

[13] Lo stock di debito del 2016-2017 si basa sulle stime del Ministero dell’economia contenute nella Nota di aggiornamento al Def di settembre 2013. Secondo quanto riportato in una nota “i valori  programmatici includono i proventi da privatizzazioni e da dismissioni immobiliari per un ammontare pari a circa 0,5% di Pil all’anno. L’attuale scenario ipotizza una graduale chiusura degli spread  a 200 punti base nel 2014, 150 nel 2015 e 100 nel 2016 e 2017”.

[14] La Corte dei Conti (relazione del 18 febbraio 2014) ha segnalato che la Legge di Stabilità 2014 prevede 13,7 miliardi di entrate a rischio nel periodo 2017-2020.

[15] I contributi al fondo Efsf sono solo figurativi. Viene iscritta una passività a debito come garanzia qualora i beneficiari del fondo non dovessero restituire il debito.

[16] Per pagare la quota di contributo al capitale dell’Esm sono stati emessi nel 2013 titoli di Stato in aggiunta a quelli occorrenti per coprire il debito pubblico italiano.

[17] Ipotizzando un aumento dell’1,5% del Pil nominale l’indebitamento netto del 2013 passerebbe dal 3,033% al 2,989%, in entrambi i casi arrotondato al 3%.

[18] In realtà l’obiettivo di medio termine per l’Italia è più ambizioso e prevede il pareggio di bilancio strutturale, che comporterebbe un’ulteriore correzione di circa 8 miliardi di euro. Già nel 2014 il percorso di avvicinamento all’MTO richiederebbe un aggiustamento in termini strutturali (nota aggiunta il 18 marzo 2014 grazie alle osservazioni di un referee anonimo).

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