di Franco Mostacci

La narrazione governativa parla con toni trionfalistici di “nuovo record storico” nel 2024 per l’occupazione, ma un’analisi più completa ed obiettiva non può prescindere dalle criticità strutturali.
Fermarsi a osservare solo gli ultimi dati, senza considerare anche la qualità del lavoro, la coerenza con il contesto, la produttività, il capitale umano, la sostenibilità della produzione, può risultare fuorviante.
Il XXVI Rapporto del Cnel sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, fornisce molti spunti di riflessione sulle caratteristiche e le tendenze recenti del mondo del lavoro in Italia.
Sebbene sia salito al 62,2% nel 2024, il tasso di occupazione in Italia è ancora ben inferiore a quello di Germania (77,4%), Francia (69%) e Spagna (66,1%). Il confronto non migliora se si considera il tasso di inattività 15-74 anni, in cui l’Italia con il 42,2% è al penultimo posto tra i 27 Paesi dell’UE, meglio solo della Romania.
D’altronde, nell’ultimo anno il numero delle unità di lavoro a tempo pieno è aumentato più del Pil e questa non può che essere una situazione transitoria.
Molti sono i segnali di rallentamento produttivo: il calo delle ore lavorate per addetto; un maggiore utilizzo della cassa integrazione guadagni (+21,1% nel 2024); la diminuzione del tasso di partecipazione (soprattutto tra gli under 50); un effetto di sostituzione tra quantità di lavoro e quantità di investimenti; un elevato numero di italiani inattivi in aumento a 12,4 milioni nella fascia di persone in età di lavoro, di cui 7,8 milioni sono donne.
Il gap di occupazione femminile è ancora molto elevato, con forti disparità generazionali, territoriali e settoriali, cui si aggiunge una più elevata vulnerabilità con una maggiore incidenza del lavoro ‘non standard’, le difficoltà di conciliazione vita privata/lavoro e il rischio di carriere interrotte. Il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum vede l’Italia all’87° posto su 146 Paesi, con un punteggio bel lontano dall’Islanda (1° posto) e dalla Germania (7° posto).
Anche se in diminuzione è ancora elevato il numero di NEET (giovani 15-29 anni che non lavorano e non frequentano scuola o percorsi di formazione), mentre cresce il tasso di inattività tra i 25 e i 34 anni. L’accompagnamento dei giovani dalla scuola al lavoro vede ancora troppe difficoltà e poche soluzioni, senza considerare il depauperamento del capitale umano causato dalla ‘fuga di cervelli’ all’estero.
Gli stranieri occupati sono sempre di più (il 10,9% della forza di lavoro complessiva), ma la maggior parte di essi non ha un lavoro stabile, è occupata in settori poco professionalizzanti e questo si riflette in una differenza salariale oraria del 26,3% in meno rispetto ai lavoratori italiani.
L’inclusione lavorativa è fondamentale per lo sviluppo del Paese, oltre a essere una questione di giustizia sociale. Solo il 33% di disabili in età lavorativa con gravi limitazioni è occupato e il tasso di disoccupazione (coloro che vorrebbero lavorare ma non riescono) è al 16,6%.
Anche il tema della sicurezza sul lavoro non mostra miglioramenti. Le morti sul lavoro denunciate all’Inail nel 2024 sono state 1.077 (+4,7%) e il trend in aumento sta proseguendo anche nel 2025. Lo stesso discorso vale per le malattie professionali.
Le noti dolenti non si placano se si guarda alle retribuzioni. Tra il 2013 e il 2023, in Italia l’aumento dei salari è stato eroso dall’inflazione e il potere d’acquisto è diminuito, mentre in Germania, Spagna e Francia aumentava. Il recupero nel 2024 è stato solo parziale e, come ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica Mattarella, dal 2021 c’è stata una perdita secca dell’8% e tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita, con un numero crescente di ‘working poor’.
Quando le ore lavorate aumentano più del valore aggiunto, la produttività del lavoro diminuisce ed è proprio quanto accade in Italia da troppi anni. Tra il 2000 e il 2020 è cresciuta solo lo 0,33% medio annuo, ma mentre la Germania ha viaggiato al ritmo dell’1% e la Francia di 0,95%.
Nel quadro internazionale si stanno addensando molte nubi: i dazi, gli scenari di guerra, la contrazione della produzione manifatturiera in Europa a ricasco di quella tedesca.
Oltre che sulla crescita economica, gli effetti sulle dinamiche occupazionali e inflative sono imprevedibili, a maggior ragione in Italia, che per i ritardi finora accumulati appare meno resiliente degli altri partner europei.
Il Governo, anziché crogiolarsi su falsi allori o cedere alle lusinghe del riarmo, farebbe meglio a mettere in agenda il mondo del lavoro per restituire sicurezza e dignità ai lavoratori e alle loro famiglie.