Il risanamento dei conti dello Stato solo dalle tasche dei lavoratori

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca

debito

Il 2014 non si presenta sotto i migliori auspici per le retribuzioni dei lavoratori dipendenti, costretti a nuovi sacrifici. La legge di stabilità ha confermato le misure restrittive contenute nel Dpr 122/2013, che ha prorogato il blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, anche di quelli non contrattualizzati, come i docenti universitari, le cui istanze sono state di recente disattese dalla Corte Costituzionale.

L’ultimo rinnovo, per il personale della P.A. contrattualizzato, risale al biennio 2008-2009 e da allora la pubblica amministrazione ha corrisposto solo un’indennità di vacanza contrattuale, peraltro ferma ai livelli stabiliti nel 2010.

A questo si deve aggiungere il blocco quasi totale del turn over, che ha impedito il ricambio del personale nel frattempo andato in pensione per raggiunti limiti di età o per sfuggire alle restrizioni imposte, in particolare, dalla cosiddetta riforma Fornero.

Si può, quindi, tranquillamente affermare che buona parte del risanamento dei conti dello Stato sta gravando sulle spalle dei lavoratori pubblici. Dal 2010 al 2012, infatti, la spesa complessiva per i redditi dei lavoratori dipendenti si è ridotta da 172 a 166 miliardi di euro e – secondo le più recenti stime del Governo – per il 2013 e 2014 sono previsti tagli per altri 4 miliardi.

Per i lavoratori degli enti pubblici di ricerca le norme in vigore stanno anche impedendo l’attuazione delle disposizioni contrattuali che prevedono gli avanzamenti di livello (personale tecnico-amministrativo) o il riconoscimento economico (ricercatori/tecnologi e tecnici/amministrativi apicali).

Si tratta di danni irreversibili, che non saranno più recuperati quando terminerà il congelamento degli stipendi e che graveranno anche sulle retribuzioni future, sul trattamento pensionistico e su quello di fine rapporto.

Stando ai dati contenuti nel Conto annuale sul pubblico impiego della Ragioneria Generale dello Stato, la retribuzione lorda dei lavoratori degli enti pubblici di ricerca nel 2012 è stata in media di 41.680 euro, in calo di circa 400 euro rispetto al 2010 (-1%), mentre quella del personale delle Università è stata di 43.754 euro, dove, però, la diminuzione nel biennio è risultata più consistente (circa 2.000 euro, il 4,1%). Ci sono, poi, comparti dove il blocco e i tagli non si sono avvertiti. Nella Magistratura, ad esempio, la retribuzione media è passata da 132.642 euro nel 2010 a 141.746 nel 2012 (+6,9%). Nella carriera prefettizia, invece, da 86.161 a 92.660 euro (+7,5%).

Ma a parte i fortunati, i dipendenti pubblici che hanno dovuto stringere la cinghia devono fare i conti anche con la riduzione del potere d’acquisto, cioè con l’inflazione che, dal 2010 al 2013, ha eroso il 7% del valore reale degli stipendi, al quale si dovranno aggiungere gli aumenti dei prezzi dell’anno appena iniziato. Nel frattempo, le imposte non sono diminuite e i servizi sociali si sono ridotti, con un ulteriore aggravio per le tasche dei lavoratori.

Sicuramente, i dipendenti pubblici si possono ritenere più fortunati di coloro che in questi anni di crisi hanno perso il posto di lavoro o sono stati costretti a chiudere l’attività commerciale o imprenditoriale che gestivano.

Però gli stessi risultati, in termini di risparmio della spesa pubblica, ben potevano essere raggiunti combattendo, con serietà e convinzione, sprechi e corruzione; tagliando privilegi e, con una più equa redistribuzione dei sacrifici.

Invece, per cercare di sanare i conti pubblici, ancora una volta l’azione di Governo si è accanita contro la massa dei lavoratori dipendenti. Salvando, come sempre, la casta e gli evasori fiscali.

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