I conti economici europei 2021 per settore istituzionale

di Franco Mostacci
I conti economici europei per settore istituzionale 2021 (rapporto statistico completo di tavole e grafici)
Open Data (tutti i dati del rapporto in formato Excel)

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Il rapporto mette insieme più di 600 mila numeri, che descrivono la sequenza dei conti economici in tre diverse dimensioni: la distribuzione geografica (i 27 Paesi dell’Unione europea); l’evoluzione temporale dal 1995 al 2021 (per l’Italia al 2022); i settori istituzionali (società non finanziarie o imprese; società finanziarie; pubblica amministrazione; famiglie e istituzioni non profit; resto del mondo).

Attraverso i conti istituzionali si possono seguire i flussi economici non finanziari e le transazioni tra settori, partendo dalla produzione dei beni e servizi, passando dalla generazione, distribuzione e redistribuzione del reddito, per giungere all’utilizzo del reddito disponibile (consumi, risparmi e investimenti). Il saldo finale rappresenta l’accreditamento (se positivo) o l’indebitamento (se negativo)  del Paese nei confronti dell’estero e di ciascun singolo settore residente.

I conti finanziari per settore istituzionale misurano, invece, le attività e passività detenute per singolo strumento finanziario: Oro monetario e diritti speciali di prelievo (F1); Biglietti, monete e depositi (F2); Titoli di credito (F3); Prestiti (F4); Partecipazioni e quote di fondi di investimento (F5); Assicurazioni, pensioni e garanzie standard (F6); Strumenti finanziari derivati (F7); Altri conti (F8).

I risultati del 2021 riflettono il recupero delle economie di tutti gli Stati, dopo le difficoltà incontrate nel 2020 per fronteggiare l’emergenza sanitaria, con interventi pubblici che hanno sostenuto famiglie e imprese, passando attraverso il settore finanziario.

Nel 2021, il valore aggiunto a prezzi correnti dell’Unione europea è stato di 13 miliardi di euro (+7,4% rispetto al 2020) e quello dell’Eurozona di 11 miliardi di euro (+7%).  Rispetto all’inizio della crisi economica del 2008 l’aumento è stato del 27,7% nell’Eurozona e del 30,7% nell’Unione europea, ma solo del 8,5% in Italia.

Il conto corrente della Germania nei confronti dell’estero è in positivo dal 2002 ed ha raggiunto i 267 miliardi di euro nel 2021, grazie soprattutto al surplus della bilancia commerciale. Nonostante i cittadini tedeschi abbiano il più elevato potere d’acquisto pro capite, la Germania, oltre ad avere i conti pubblici in ordine, si conferma un Paese con bassi consumi, elevato risparmio e un basso livello di investimenti, sia privati che pubblici. Tutto questo non aiuta la redistribuzione del reddito e della ricchezza tra Paesi.

L’Italia aveva nel 1995 un potere d’acquisto pro capite analogo a quello tedesco, ma da allora – e soprattutto dal 2007 – le differenze si sono ampliate. Nello stesso arco temporale la propensione al risparmio delle famiglie italiane si è dimezzata dal 21% al 10% (dopo il balzo al 17% nel 2020 per il crollo dei consumi derivante dalle limitazioni alle attività economiche). Le imprese italiane hanno visto erodere la loro quota di profitto e ciò dipende in gran parte dalla stagnazione della produttività, che è invariata dal 2000, mentre in Germania è aumentata del 35% rispetto al 1995.

La Francia, che insieme alla Spagna ha privilegiato l’intervento pubblico rispetto al consolidamento fiscale, ha invece un deficit di 19 miliardi di euro nel saldo di conto corrente con l’estero, con la pubblica amministrazione indebitata per 163 miliardi  (le famiglie francesi sono però in attivo). Tuttavia, continua a mantenere un reddito nazionale che supera il Pil del 3%.

Tutto il contrario dell’Irlanda, in cui la concessione di condizioni di favore alle società multinazionali che hanno spostato a Dublino la loro sede fiscale, ha fatto aumentare il Pil, ma ha anche causato una fuoriuscita verso l’estero di 103 miliardi di redditi da capitale. Lo stesso accade in Lussemburgo, anche se per importi più limitati (22 miliardi di differenza tra Pil e Rnl).

In Grecia, le famiglie se la passano tutt’altro che bene con una propensione al risparmio tornata leggermente in positivo (+4%) dopo 8 anni (tra il 2011 e il 2019) in cui i consumi eccedevano il reddito.

I livelli di tassazione tra i Paesi restano ampiamente differenti, come pure la composizione del gettito tributario tra imposte indirette (iva, tasse e dazi su importazioni, imposte sui prodotti e sulla produzione), indirette (tasse sul reddito e altre tasse correnti) e in conto capitale.

La pressione fiscale varia tra il 47% della Francia e il 21,8% dell’Irlanda, ma il gap si riduce se si considera quanto lo Stato restituisce sotto forma di prestazioni sociali in denaro (pensioni) o in natura (beni o servizi forniti gratuitamente alle famiglie).

Il reddito disponibile pro capite corretto per i trasferimenti sociali in natura e riportato a parità di potere d’acquisto mostra valori doppi per un cittadino tedesco (oltre 28 mila euro) rispetto a un greco.

Tutto ciò che viene risparmiato e non reinvestito nell’economia va ad accrescere la ricchezza finanziaria, che sta acquistando un’importanza sempre maggiore rispetto all’economia reale.  Il Lussemburgo, nonostante le modestissime dimensioni ha più di 12 mila miliardi di attività finanziarie, quasi il quadruplo dell’Italia.

La Germania e i Paesi Bassi vantano una solida posizione patrimoniale sull’estero e anche l’Italia nel 2021 ha un saldo positivo per 134 miliardi, ma molti Paesi risultano debitori.

Il saldo attivo delle società finanziarie italiane continua ad essere molto alto (549 miliardi nel 2021) e non ha uguali in Europa (in Germania sono 109 e in Francia 131).

Dai numeri esposti risulta evidente che in questi anni non si è fatto nulla per ridurre l’eterogeneità tra le economie dei Paesi dell’Unione europea.

Nell’Eurozona, a causa del persistere di notevoli differenze strutturali, la politica monetaria unitaria incide in maniera difforme sulla reattività e competitività dei singoli Paesi.

Ogni Paese europeo, poi, ha una propria politica fiscale, previdenziale, assistenziale e sanitaria, come anche diverse sono le regole del mercato del lavoro, alimentando la delocalizzazione della produzione nei Paesi in cui le retribuzioni sono inferiori e i costi per le imprese sono minori.

La mancanza di regole condivise ha generato all’interno dell’Unione europea disparità di trattamento fiscale per categorie di imprese o di cittadini, tanto che si può parlare di veri e propri paradisi fiscali.

E’ da ritenere che gli squilibri macroeconomici siano aumentati dopo il 2020, quando le risposte all’emergenza sanitaria, che ha colpito con intensità e tempi diversi i Paesi dell’Unione europea, non sono state integrate e uniformi, generando ulteriori disparità economiche e sociali.