La destinazione della spesa pubblica e le spese per la difesa

di Franco Mostacci
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DifesaeSicurezza

Il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche determina l’ammontare delle entrate e delle uscite dello Stato, degli enti locali e previdenziali, producendo importanti indicatori di finanza pubblica come l’avanzo/disavanzo primario, l’accreditamento/indebitamento netto, la pressione fiscale.

Spesa della pubblica amministrazione per funzione – 2008-2020 (milioni di euro)
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Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

La spesa pubblica complessiva è salita da 783 miliardi di euro del 2008 a 871 del 2019, a un ritmo quasi costante di circa l’1% l’anno. In conseguenza delle misure straordinarie di sostegno per fronteggiare la pandemia, è passata a 944 miliardi nel 2020 (+8,4%) e a 984 miliardi nel 2021 (+4,2%).

L’analisi per funzione Cofog[1] mostra che la spesa maggiore è quella per la Protezione sociale (417 miliardi nel 2020, il 44,1% del totale), che comprende le pensioni e le prestazioni assistenziali. Le uscite per i Servizi generali ammontano a 144 miliardi (15,3%), di cui 60 per interessi sul debito pubblico; la spesa sanitaria assorbe 130 miliardi (13,8%). La maggior parte della spesa pubblica non è comprimibile, a partire dalle pensioni, gli interessi, la sanità, le spese per il personale che interessano tutte le funzioni e restano ben pochi margini di manovra sulla parte restante[2].

Per la protezione dell’ambiente si spendono solo 16 miliardi (di cui 10 sono, peraltro, destinati al trattamento dei rifiuti); per la ricerca e sviluppo (ricavabile trasversalmente da tutte le funzioni) 13 miliardi; per l’università 5,5 miliardi sui 70,5 complessivamente destinati all’istruzione.

Spesa della pubblica amministrazione rispetto al Pil per funzione – 2008-2020 (milioni di euro)
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Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

Rispetto al Pil, la spesa pubblica è oscillata negli ultimi anni intorno al 50%. Dal 2013 (51%) e fino al 2019 (48,5%), era stato avviato un percorso di riduzione, bruscamente interrotto nel 2020 quando è tornato al 57% per i motivi sopra esposti. Nel 2021 il rapporto si è ridotto di poco più di un punto percentuale[3] e dovrebbe continuare a scendere anche nel 2022. La spesa per la protezione sociale è cresciuta dal 18% del 2008 al 25,1% del 2020, mentre tutte le altre funzioni sono rimaste alquanto stabili: affari economici da 3,89% a 5,35% (+1,46%); salute da 7,01% a 7,85% (+0,84%); ordine pubblico e sicurezza da 1,75% a 2,01% (+0,26%); protezione dell’ambiente da 0,78% a 0,97% (+0,19%); attività ricreative, culturali e di culto da 0,71% a 0,84% (+0,13%); difesa da 1,31% a 1,38% (+0,07%); istruzione da 4,29% a 4,26% (-0,03%); abitazioni e assetto territoriale da 0,64% a 0,48% (-0,16%); servizi generali da 9,48% a 8,72% (-0,76%), beneficiando però di una riduzione di 1,35 punti percentuali della spesa per interessi, al netto della quale si sarebbe registrato un aumento di 0,59%. La spesa per ricerca e sviluppo (trasversale tra tutte le funzioni) è passata da 0,70% a 0,79% del Pil (+0,09%), quella per l’università da 0,40% a 0,33% (-0,07%). La riduzione dell’inquinamento ha perso lo 0,04% e la protezione della biodiversità e dei beni paesaggistici lo 0,03%.

La spesa pubblica è per la maggior parte di tipo corrente, mentre quella per investimenti assume un carattere più residuale. Eppure, il rilancio degli investimenti pubblici è senza alcun dubbio la priorità dell’Italia, non solo per dare slancio al sistema economico, ma anche per recuperare il gap di competitività con gli altri partner europei.

Investimenti della PA per tipologia in Italia – Anni 1995-2020 (milioni di euro)
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Fonte: elaborazioni su dati Istat

Gli investimenti pubblici in Italia sono aumentati tra il 1995 e il 2009 (fatta eccezione per il 2002), per poi diminuire bruscamente nella fase di recessione, laddove un intervento anticiclico sarebbe stato, invece, utile. L’ammontare nel 2020 è ai livelli del 2003, ma solo in termini nominali[4].

In rapporto al Pil gli investimenti valevano il 3,7% del 2009, si sono ridotti al 2,1% nel 2018, per poi risalire al 2,3% nel 2019 e al 2,6% nel 2020, nonostante la straordinarietà della situazione. Con gli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziati dal Recovery Fund, l’ammontare assoluto degli investimenti pubblici e il loro rapporto rispetto al Pil sono destinati a crescere negli anni a venire.

Le costruzioni rappresentano più della metà del totale, mentre i prodotti della proprietà intellettuale (ricerca e sviluppo, software, basi di dati, opere artistiche e letterarie) il 26%. Ad investimenti in impianti e macchinari è dedicato il 15%, in crescita di 1,4 miliardi rispetto al 2019 (+29,3%). Non sembrano aver subito la crisi gli armamenti, per i quali anche nel 2020 sono stati spesi 3,7 miliardi di euro, in linea con la media degli anni precedenti.

Negli ultimi giorni, alla luce dell’invasione russa in Ucraina, il dibattito si sta accendendo sulla opportunità di ampliare la spesa per la difesa al 2% del Pil, riprendendo una richiesta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Trump nell’estate del 2018[5].

In Italia, la spesa per la Difesa[6] è stata di 22,9 miliardi di euro nel 2020, pari all’1,38% del Pil, un valore secondo solo all’1,49% del 2009.

Nel bilancio di previsione 2022, la spesa per la funzione Cofog Difesa è salita a 23,3 miliardi di euro e dovrebbe attestarsi all’1,24% del Pil[7]. Per raggiungere il 2% la spesa per la difesa dovrebbe crescere a 39,2 miliardi nel 2023 e a 40,5 nel 2024.

Legge di bilancio 2022 – Previsioni di spesa per la funzione Cofog Difesa (euro e valori percentuali)
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Fonte: elaborazioni su dati Bdap (Ministero dell’economia e delle finanze)

Il 76% della spesa prevista nel 2022 per la Difesa è di parte corrente, in buona parte assorbita dal costo del personale (13,5 miliardi di euro). Il restante 24% è rappresentato dalla spesa in conto capitale, formata quasi interamente dagli investimenti fissi lordi.

Quasi il 94% della spesa complessiva è di competenza del Ministero della Difesa (21,8 miliardi)[8], il 6,4% del Ministero dell’economia sul cui bilancio sono finanziate le missioni all’estero (circa 1,5 miliardi) e una parte residuale di circa 5 milioni di euro spetta al Ministero degli Interni[9].

Tra le spese di personale 4,8 miliardi vanno all’Esercito, 2,9 miliardi ai Carabinieri[10], 2,4 miliardi per l’Aeronautica e 1,9 miliardi per la Marina.

Gli 1,3 miliardi di consumi intermedi sono destinati per 444 milioni all’acquisto di beni e servizi (di cui 149 milioni per l’esercito, 101 per l’aeronautica, 94 per la marina e 53 per i carabinieri); 250 milioni sono assegnati a un fondo per la riallocazione delle funzioni connesse al programma di razionalizzazione, accorpamento, riduzione e ammodernamento del patrimonio infrastrutturale, per le esigenze di funzionamento, ammodernamento e manutenzione e supporto dei mezzi, dei sistemi, dei materiali e delle strutture in dotazione alle forze armate, inclusa l’arma dei carabinieri, nonché per il riequilibrio dei principali settori di spesa del ministero della difesa, con la finalità di assicurare il mantenimento in efficienza dello strumento militare e di sostenere le capacità operative; 170 milioni per la manutenzione, acquisto e conservazione dei mezzi; 153 milioni per l’approvvigionamento di beni e servizi connesse alle missioni internazionali; 96 milioni per la manutenzione degli approvvigionamenti.

Gli 1,5 miliardi di euro di altre uscite correnti sono in gran parte assorbiti dal fondo per il finanziamento della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali.

Le spese per investimento previste ammontano a 5,5 miliardi di euro e sono quasi tutte assegnate al Segretariato generale per la costruzione e acquisizione di impianti e sistemi (4,8 miliardi), per il fondo relativo all’attuazione dei programmi di investimento pluriennale per le esigenze di difesa nazionale (500 milioni); per la ricerca scientifica compresa quella relativa agli studi ed alle esperienze inerenti all’assistenza al volo (59 milioni). Per il potenziamento dei servizi dell’arma dei carabinieri, spesa per l’antinfortunistica sono previsti 88 milioni di euro e alla realizzazione e sviluppo del sistema informativo, con esclusione di quello facente parte integrante dei sistemi d’arma sono assegnati 24 milioni.

Considerando la struttura della spesa per la difesa, un ipotetico aumento di 16 miliardi di euro per raggiungere la quota del 2% del Pil, si tradurrebbe in un forte incremento del personale militare. Il conto annuale del personale della Ragioneria Generale dello Stato indicava in 178.572 unità la consistenza delle forze armate al 31 dicembre 2019 (quasi 2 mila in più rispetto all’anno precedente). Ipotizzando una ripartizione della maggiore spesa per la difesa proporzionale alla struttura di spesa prevista per il 2022, è ipotizzabile l’arruolamento di 120 mila militari aggiuntivi rispetto alla dotazione organica attuale.

La spesa pubblica salirebbe a 990 miliardi di euro nel 2023, il 50,1% del Pil e il rapporto deficit/Pil aumenterebbe di quasi 1 punto percentuale in più rispetto al previsto. Ciò implicherebbe una significativa deviazione dall’obiettivo di medio termine per la finanza pubblica, che anche in un contesto di revisione del Patto di stabilità e crescita (attualmente sospeso), diventerebbe insostenibile a meno di un aumento della tassazione o di rilevanti tagli di spesa in settori strategici (salute, istruzione, protezione sociale).

Uno spostamento così ingente di risorse pubbliche su uno specifico settore, completamente incompatibile con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e del Green Deal europeo, impedirebbe il potenziamento di settori strategici per il perseguimento dello sviluppo sostenibile, come la protezione dell’ambiente, l’università e la ricerca, già oggi fin troppo trascurati.

Secondo un recente rapporto di Greenpeace, il 64 per cento della spesa italiana per le missioni militari all’estero è destinato a operazioni collegate alla difesa di fonti fossili, per un totale di quasi 800 milioni di euro spesi nel solo 2021 e ben 2,4 miliardi di euro negli ultimi quattro anni. Porre le basi per ulteriori spese militari, anziché investire risorse finanziarie nelle fonti rinnovabili per affrancarsi dalla dipendenza energetica dall’estero, mai come in questo momento vissuta come inaccettabile, appare sotto tutti i punti di vista una strategia incomprensibile.

La corsa al riarmo, con un aumento al 2% del Pil della spesa per la difesa, è una scelta folle, come denunciato nei giorni scorsi da Papa Francesco, che va nella direzione opposta della proposta ai governi di tutto il mondo, avanzata da 50 premi Nobel alla fine dello scorso anno, di ridurre progressivamente la spesa per armamenti del 2 per cento ogni anno per 5 anni e creare un “dividendo della pace” pari a circa 1.000 miliardi di dollari entro il 2030, per alimentare un Fondo sotto l’egida delle Nazioni Unite finalizzato a fronteggiare le pandemie, i cambiamenti climatici e la povertà estrema.

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[1] Classificazione internazionale della spesa pubblica per funzione (Cofog).
[2] Negli anni più recenti si sono succedute diverse analisi e proposte di revisione della spesa pubblica. Con la legge finanziaria 2007 fu istituita la Commissione tecnica sulla spesa pubblica, presieduta dal prof. Gilberto Muraro, che produsse il “Libro verde della spesa pubblica. Spendere meglio: alcune prime indicazioni”, per poi essere soppressa dal D.L. 112/2008. Successivamente operò il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Piero Giarda (2010) che propose una classificazione degli sprechi; con il governo Monti la razionalizzazione della spesa fu affidata ad Enrico Bondi (2012)  che varò una serie di misure di contenimento; il governo Letta (2013) si affidò invece a Carlo Cottarelli, che organizzò gruppi di lavoro tematici indipendenti per giungere a una relazione finale; con Renzi (2014) il testimone passò a Yoram Gutgeld, che per un breve periodo si avvalse anche della collaborazione di Roberto Perotti. La “spending review” è ora una delle riforme previste dal Pnrr. Il primo dei 7 traguardi è stato definito con i commi 8 e 9 dell’articolo 9 del D.L. n. 152/2021, che hanno istituito presso la Ragioneria generale dello Stato il Comitato scientifico per le attività inerenti alla revisione della spesa, al fine di rafforzare gli strumenti di analisi e monitoraggio della spesa pubblica e dei processi di revisione e valutazione della spesa. Con il documento di economia e finanza 2022, è prevista l’adozione di obiettivi di risparmio per gli anni 2023, 2024, 2025.
[3] Il dato esatto non è al momento quantificabile, a causa della correzione in corso del Pil nominale da parte dell’Istat.
[4] Tra gli investimenti pubblici sono conteggiati anche quelli finanziati in tutto o in parte dall’Unione europea. Nel 2016 il Governo italiano aveva ottenuto una flessibilità di 0,25 punti percentuali di Pil sull’indebitamento strutturale in cambio di investimenti produttivi, ma l’impegno è stato rispettato solo parzialmente.
[5] Chi finanzia la Nato e perché Trump chiede agli alleati di pagare di più (Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2018)
[6] Missione 2 della classificazione Cofog.
[7] Prendendo a riferimento la previsione del Pil della Nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre.
[8] Rappresenta l’84,2% dei quasi 26 miliardi assegnati al Ministero della Difesa. La parte restante è impiegata per il 14,7% nell’ordine pubblico e sicurezza (si veda nota successiva) e marginalmente per altre funzioni. Per ulteriori approfondimenti si può consultare il dossier Le spese per la difesa nel bilancio dello Stato (Camera dei Deputati, 22 febbraio 2022).
[9] Non sono stati considerati i 2,5 miliardi stanziati dal Ministero dello Sviluppo economico come contributi agli investimenti per le imprese riguardanti il settore della difesa, ma classificati nella funzione Cofog Affari economici. Si tratta in particolare di 1,16 miliardi di interventi per lo sviluppo delle attività industriali ad alta tecnologia dei settori aeronautico e aerospazio in ambito difesa e sicurezza nazionale; 0,66 miliardi di contributi per il finanziamento di interventi nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale; di 0,52 miliardi di interventi per lo sviluppo e l’acquisizione delle unità navali della classe Fremm e delle relative dotazioni operative; di 0,16 miliardi di interventi per l’attuazione di programmi ad alta valenza tecnologica in ambito difesa e sicurezza nazionale.
[10] Qui è conteggiata solo la metà della spesa complessiva sostenuta per il personale dell’arma dei carabinieri. Il restante 50% è, infatti, ricompreso nella missione 3 Cofog ‘Ordine pubblico e sicurezza’, per il ruolo svolto dai carabinieri sul territorio nazionale.