Il sistema Italia è un malato ancora in convalescenza

di Franco Mostacci
pubblicato sul Fatto Quotidiano del 8 febbraio 2019

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Il dato era atteso: l’Italia nel 2019 potrebbe crescere solo di 0,2%, ben al di sotto dell’1,3% dell’Eurozona.

A stimarlo è la Commissione europea, che nelle sue previsioni di inverno lima di un punto il dato indicato lo scorso autunno, portandolo al disotto dell’1% sul quale si è chiuso l’accordo con Bruxelles che ha evitato l’apertura di una procedura di infrazione.

Cosa ci aspetta di qui in avanti non è affatto chiaro. Per il momento si parla solo di una recessione tecnica, ma se le condizioni esterne non dovessero migliorare – o dovessero precipitare per gli effetti della Brexit o di un altro shock imprevedibile – l’Italia si troverebbe a pagare il prezzo della sua debolezza.

Le analisi settoriali sull’inizio del 2019 indicano una congiuntura quanto meno ancora piatta. Per raggiungere l’obiettivo annuale di +1% di Pil previsto nella Legge di bilancio, occorrerebbe un ritmo di crescita di 0,8% in ciascuno dei restanti tre trimestri dell’anno .

Nel primo trimestre dell’ormai lontano 2008, quando la crisi dei mutui subprime americani era già evidente, il Pil italiano raggiunse il suo massimo storico di 425,5 miliardi di euro (valori a prezzi 2010), con un aumento dell’1% rispetto all’ultimo trimestre del 2007.Anche l’occupazione raggiunse il suo picco con 25,2 milioni di occupati (unità di lavoro equivalenti a tempo pieno).

Da allora sono trascorsi 11 anni, ma quei livelli sono ancora lontani, considerando che il quarto trimestre del 2018 si è chiuso a 402,8 miliardi di euro – il 5,3% in meno rispetto ad allora – e il numero di occupati a tempo pieno è ancora inferiore di 1,1 milioni di unità.

Nel frattempo l’economia italiana ha subito tre recessioni, di cui l’ultima appena iniziata.

La prima flessione durò dal secondo trimestre del 2008 fino a giugno del 2009, lasciando sul campo l’8% del prodotto e il 3,6% dell’occupazione.

Per un paio d’anni sembrò che le cose si stessero riprendendo, ma subentrò la crisi dei debiti sovrani di alcuni Paesi della zona euro con in testa la Grecia, che fece sprofondare nuovamente la situazione.

Questa volta il calo durò per sette trimestri consecutivi – dal terzo del 2011 al primo del 2013 – e costò il 5,2% del prodotto e il 3,7% dell’occupazione.

Trascorso poco più di un anno a fasi alterne, dal primo trimestre del 2015 il Pil – e con esso l’occupazione – ha ripreso a crescere per 14 trimestri consecutivi, anche se a un ritmo assai modesto.

Negli ultimi due trimestri del 2018, a causa principalmente del rallentamento del commercio internazionale, l’economia italiana – ancora convalescente – ha avuto una nuova ricaduta.

Negli ultimi 30 trimestri a partire dalla seconda metà del 2011 il Pil italiano è cresciuto meno di quello dell’Eurozona, che a giugno 2015 aveva recuperato i livelli pre crisi e ora li sopravanza del 7,3% (il 9,9% escludendo l’Italia).

I numeri della crisi italiana parlano chiaro e raccontano una difficoltà strutturale a mettere in moto il sistema economico.

In termini di contributo alla variazione del Pil, la domanda interna al netto delle scorte negli ultimi 11 anni ha subìto una forte contrazione con un calo dell’1,9% dei consumi (1,4% quelli privati e 0,5% i pubblici) e del 4,2% degli investimenti, con la domanda estera netta in aumento di 1,6% (3,1% di esportazioni e 1,5% di importazioni.

Tutt’altra musica nell’Eurozona, dove i consumi sono cresciuti del 4,9% (2,8% i privati e 2,1% i pubblici), gli investimenti sono diminuiti di 0,5% e la domanda estera netta è aumentata di 2,7%.