L’Italia al top nella grauatoria mondiale della corruzione

di Franco Mostacci
pubblicato nel Foglietto della Ricerca

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La corruzione nei pubblici uffici può assumere molteplici forme: non solo la tangente richiesta in cambio di favori e concessioni o la sottrazione di beni e servizi pubblici, ma anche la distrazione di fondi per finalità diverse dall’interesse collettivo, la “raccomandazione” per favorire un iter amministrativo o per far assumere figli e parenti, l’accettazione di regali di un certo valore.

A pochi giorni dalla giornata internazionale contro la corruzione, che si celebrerà il prossimo 9 dicembre, viene diffuso oggi da Transparency International l’edizione 2013 del Perception Corruption Index, che sintetizza in un unico indicatore le valutazioni di tredici organismi indipendenti.

La classifica degli onesti vede al primo posto la Danimarca e la Nuova Zelanda con 91 punti, seguite da Finlandia e Svezia (89), Norvegia e Singapore (86), Svizzera (85) e Paesi Bassi (83). Solo 54 Paesi su 177 hanno un punteggio di almeno 50 punti su 100.

E l’Italia? E’ relegata al 69-mo posto, con 43 punti, preceduta anche da alcuni paesi africani, come Ruanda, Lesotho, Namibia e Ghana. Tra gli stati europei, l’Italia è terz’ultima, insieme alla Romania. Peggio di noi, solo Bulgaria (41) e Grecia (40).

L’unica magra consolazione è che, rispetto allo scorso anno, l’Italia ha guadagnato 1 punto e ha scalato 3 posizioni in classifica, ma forse più per demeriti altrui che per meriti propri.

Anche se si tratta solo di valutazioni qualitative basate sulla percezione di esperti e stakeholders, la non invidiabile situazione italiana è confermata anche dal rapporto della Commissione Europea sulla qualità della pubblica amministrazione.

Le imprese italiane giudicano particolarmente frequente la richiesta di pagamenti irregolari e “bustarelle” per oliare i meccanismi del sistema pubblico e la situazione è ulteriormente peggiorata nell’ultimo anno. Anche la distrazione di fondi pubblici a imprese, individui e gruppi dovuta alla corruzione è una pratica molto comune in Italia. Due classifiche poco invidiabili che ci vedono agli ultimi posti tra i Paesi europei.

Ma visto che, come diceva Agata Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova” non resta che considerare anche i Worldwide Governance Indicators della World Bank. Se si chiede alle imprese in che misura il potere pubblico è esercitato per scopi privati la risposta è che dal 2000 a oggi c’è stato un vero tracollo e ormai siamo precipitati sotto zero.

C’è poco da meravigliarsi, quindi, se nel Global Competitiveness Report 2013-2014 del World Economic Forum, la fiducia pubblica verso i politici ha un punteggio per l’Italia di appena 1,8 (in una scala di valori compresa tra 1 e 7) ed è al 140° posto nel mondo su un totale di 148 Paesi. Praticamente gli ultimi.

La corruzione è ormai universalmente riconosciuta come una vera e propria piaga della società, che sottrae risorse allo sviluppo e alle fasce sociali più deboli.

Per la Corte dei Conti il malaffare ha natura sistemica e pregiudica l’andamento dell’economia italiana oltre alla legittimazione stessa della pubblica amministrazione. Le stime parlano di un costo di 60 miliardi di euro l’anno, il doppio di quanto dovrebbe riuscire a recuperare con i tagli in tre anni il Commissario straordinario per la revisione della spesa, che nella sua relazione programmatica non accenna ad azioni di contrasto alla corruzione, come se fosse possibile raggiungere l’efficienza della spesa senza rimuoverne gli aspetti degenerativi. Evidentemente la lunga permanenza a Washington al Fondo Monetario Internazionale ha fatto perdere a Carlo Cottarelli il contatto con la realtà.

O, forse, egli si augura che inizi finalmente a produrre i suoi effetti la legge 190/2012 per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, anche se, a distanza di dodici mesi dalla sua promulgazione, gli unici risultati sembrano essere la pubblicazione a settembre da parte della Civit del Piano Nazionale Anticorruzione e le nomine dei responsabili della prevenzione della corruzione. Nessuna amministrazione, o quasi, ha finora prodotto il Piano triennale di prevenzione e non resta che attendere il 31 gennaio 2014, che è la prossima data di scadenza per la presentazione.

A dire il vero, persino la nomina dei responsabili della prevenzione della corruzione (Rpc) lascia un po’ a desiderare, visto che ad oggi i ministeri degli Affari esteri, dello Sviluppo economico e delle Politiche agricole e forestali, nonché l’Agenzia delle Entrate non hanno ancora provveduto alla loro designazione. Anche per cinque Regioni (Friuli Venezia Giulia, Basilicata, Piemonte, Campania, Marche) la casella del responsabile è ancora vuota, come pure per quasi la metà delle Province, per i Comuni di Bari, Palermo, Reggio Calabria,oltre che per numerosi comuni di media e piccola dimensione.

Cosa abbiano prodotto finora i responsabili della prevenzione della corruzione dove sono stati nominati non è dato sapere. Ancora una volta in Italia sembra esserci una lontananza siderale tra ciò che una legge prescrive e la sua applicazione.

Per recuperare rapidamente posizioni nella classifica della corruzione l’Italia deve cambiare registro. Prima che sia troppo tardi.

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