Pensioni: tagliamo con il passato e pensiamo a giovani e donne

di Franco Mostacci
pubblicato sul Fatto Quotidiano del 25 ottobre 2021
pubblicato su Il Foglietto della Ricerca

pensioni2022

Alla fine di quest’anno terminerà ‘Quota 100’, una misura da archiviare come fallimentare sia sotto il profilo dei costi che dell’equità.

Tutti sembrano essere d’accordo nel superare le rigidità dei requisiti di età ed anzianità, previsti dalla ‘riforma Fornero’, anche se Draghi ritiene che sia la normalità verso cui tornare gradualmente.

L’equità intergenerazionale, finora calpestata, dovrebbe invece ispirare una riforma delle pensioni, ma le alternative su cui si sta ragionando sono tutte inadeguate, perché non riconoscono la centralità del metodo contributivo, basato sull’invarianza attuariale tra contributi versati e pensione ricevuta, che dal 2011 ha sostituito il retributivo.

Per gli anni a venire, ci sarà una quota sempre più esigua di lavoratori che usufruiranno di un regime misto, avendo versato contributi previdenziali di entrambe le modalità ed avendo acquisito il diritto ad una pensione che ne tenga conto in misura proporzionale.

Il calcolo con il retributivo è, in generale, più generoso di quello contributivo, garantendo un maggior rapporto di sostituzione tra l’ultimo stipendio e la prima pensione.

Ben prima dell’insediamento del governo Conte1, dal quale è poi scaturita l’idea di Quota 100, su LaVoce.info era stata avanzata una proposta che teneva conto sia dell’esigenza dei lavoratori di non voler essere costretti a lavorare fino ad età avanzata, sia della sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale e più in generale della tenuta dei conti pubblici.

Essa consiste nel riconoscere ai lavoratori in regime misto la possibilità di andare anticipatamente in pensione, percependo solo la quota maturata con il contributivo, salvo poi ricevere un’integrazione dell’assegno pensionistico al raggiungimento dei requisiti previsti dalla riforma Fornero.

Una pensione a pezzi, assolutamente innovativa rispetto al sistema previdenziale attuale, ma di semplice applicazione e soprattutto risolutiva, almeno per chi può usufruirne, rispetto alla inaccettabile imposizione di non poter scegliere quando smettere di lavorare.

Ma come potrebbe essere ridisegnato il modello previdenziale del futuro? La pensione di vecchiaia e la pensione anticipata che attualmente si maturano al conseguimento di ben precisi requisiti di età anagrafica ed anzianità contributiva, potrebbero essere sostituite d’ora in avanti da un’unica pensione lavorativa, che si raggiunge sommando i contributi previdenziali versati con il sistema contributivo presso qualsiasi gestione previdenziale (senza necessità di ricongiungimenti), purché il montante contributivo rivalutato nel tempo riesca a garantire una pensione che superi un minimo vitale (attualmente è 2,8 volte l’assegno sociale, pari a circa 1.400 euro, un valore che potrebbe essere sensibilmente ridotto).

I lavoratori in regime misto (coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996) possono accedere alla pensione lavorativa con 1,2-1,5 volte l’assegno sociale e al conseguimento dei requisiti attualmente previsti dalla legge Fornero riceveranno una pensione integrativa, calcolata sui contributi previdenziali versati con il sistema retributivo.

Una riforma che non ha costi per lo Stato, sebbene i calcoli ragionieristici indichino un’anticipazione di cassa nei primi anni, in seguito riassorbita.

Tale riforma delle pensioni sposterebbe l’attenzione e le risorse pubbliche sui lavori usuranti e su chi ha una storia contributiva a intermittenza (a partire dalla componente femminile), nonché a superare l’iniqua Opzione Donna.